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Riflettiamo insieme sulla criticità delle Risorse umane

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Messaggio Da ETutor - Garofalo Lun 15 Dic 2008, 15:20

La costante accelerazione del processo tecnologico, la globalizzazione dei mercati, e le conseguenti accresciute tensioni competitive, richiedono sempre maggiori capacità di gestione del cambiamento. Le organizzazioni sono pertanto chiamate a confrontarsi con il fattore tempo che spiega il perché della pianificazione strategica. È infatti grazie a quest’ultima che l’impresa può agire tempestivamente, e in maniera flessibile, rispetto ai mutamenti sia dell’ambiente esterno, sia di quello interno all’organizzazione.
Dunque tutte le imprese si trovano nella necessità di eseguire una formulazione di obiettivi di lungo termine che, oltre a riflettere le finalità del soggetto economico, contemplino le condizioni d'ambiente (opportunità/rischi) e le potenzialità competitive (punti di forza e di debolezza nei confronti dei concorrenti).
Questa definizione degli obiettivi di lungo periodo, così come delle strategie e delle politiche ad esse finalizzate, è compito appunto della pianificazione strategica, al cui interno distinguiamo due diversi concetti che ne compongono la denominazione: la pianificazione e la strategia, entrambi leggibili alla luce della nozione di cambiamento.
La pianificazione si può definire come la disciplina che progetta il cambiamento secondo obiettivi prefissati, da realizzare attraverso azioni subordinate le une alle altre in una logica temporale.
La strategia, invece, costituisce uno dei più importanti strumenti che il management ha a disposizione per rispondere ai cambiamenti esterni e interni all'impresa. Inoltre, essa realizza l'idea imprenditoriale (la vision), poiché la strategia aziendale rispecchia e determina l’orientamento dell'impresa per il raggiungimento di un vantaggio concorrenziale sostenibile. A questo scopo, attraverso la strategia, vengono coordinate e integrate tutte le attività dell'organizzazione, ossia le varie scelte aziendali vengono configurate in schemi coerenti.
In altre parole, la strategia è lo strumento che consente di armonizzare gli aspetti organizzativi con le opportunità e i rischi che i cambiamenti (interni ed esterni) comportano, attraverso un impiego efficace ed efficiente di tutte le risorse dell'organizzazione. Quindi ci sono tante strategie quasi quante sono le aziende e non esiste un modello di pianificazione unico e astratto perché esso deve aderire alla realtà in cui viene applicato: deve essere sempre contestualizzato.
Per operare efficacemente, la strategia deve individuare (successivamente a una esauriente analisi della situazione presente dell’organizzazione) i fini e gli obiettivi da conseguire attraverso l'adozione di adeguate linee d'azione e l'impiego delle risorse necessarie per ottenerli.
I fini si possono definire sostanzialmente come traguardi di fondo del processo di pianificazione e, pertanto, possono essere raggiunti solo in un arco temporale di lungo termine. In altre parole, i fini interpretano la missione che l’impresa è chiamata ad assolvere e che costituisce il punto di partenza di tutto il processo di formulazione delle strategie.
Gli obiettivi si identificano coi risultati intermedi. Essi devono essere classificati in base a certe priorità per verificarne le effettive possibilità di attuazione e suddivisi in aree funzionali. È indispensabile avere chiaro l'obiettivo da raggiungere insieme a una perfetta consapevolezza dei punti di forza e di debolezza rispetto al concorrente, cercando di rovesciare di segno sia le proprie debolezze sia i vantaggi dei competitori.

Complessivamente la pianificazione strategica si può definire come il processo che stabilisce le linee guida per lo sviluppo e la sopravvivenza futura dell'azienda. Essa infatti è in grado di conferire concretezza operativa alla strategia, ossia, di individuare gli obiettivi prioritari nel medio-lungo periodo e di definire, e temporizzate, le azioni necessarie e sufficienti per conseguirle.

Anche la gestione delle risorse umane si occupa (ed estesamente) della realizzazione del cambiamento, poiché esso viene effettuato nella pratica proprio dal personale. Ma la direzione delle risorse umane può fornire un importante contributo all'efficacia e alla capacità di mutamento dell'organizzazione, nella misura in cui riesce a ottenere il sostegno delle persone che lavorano nell’organizzazione, per l’introduzione e lo sviluppo di significative variazioni della cultura, delle linee programmatiche e dei sistemi aziendali. Infatti lo scopo principale della gestione del cambiamento è ottenere l'adesione dei dipendenti, ossia, che la cultura, lo stile, la struttura dell'impresa e della qualità, la partecipazione e la motivazione dei suoi impiegati, diano il massimo contributo al raggiungimento degli obiettivi aziendali.
Conseguentemente, si presenta la necessità di integrare la gestione delle risorse umane con la strategia aziendale (esigenza che è stata evidenziata già a partire dal 1978 con Galbraith e Nathanson), che nella più recente ed evoluta visione della gestione delle risorse umane viene identificata come la chiave per gestire il cambiamento strategico. Per questo motivo, la nuova frontiera della direzione del personale comporta nella pratica un deciso coinvolgimento della line nelle problematiche di gestione delle risorse umane e un simmetrico coinvolgimento della direzione del personale nelle problematiche della line . D’altro canto la business idea ha in sé la human resource idea (Normann) ed entrambe si alimentano di una visione sistemica dei rapporti tra impresa, ambiente e attori sociali. In questa configurazione globale e integrata, le politiche del personale si collocano rispetto alla strategia aziendale in una posizione perfino proattiva e di anticipazione, finalizzata a rimuovere vincoli e a sviluppare opportunità, tanto per l'azienda quanto per il personale. È una direzione del personale più vicina al management e, più inserita nel cuore del business, più attrice e soggetto esecutivo.
Questo orientamento, improntato alla interattività tra strategia, struttura e gestione delle risorse umane, tra soggetti e contesto ambientale, tra tecnologia e sistemi operativi, vede la gestione delle risorse umane, dunque, non più ridotta a un ruolo di mero adattamento ma, anzi, avente la facoltà di entrare in maniera costitutiva, e non solo strumentale, nella definizione del vantaggio competitivo. Ciò può avvenire quando la risorsa umana viene messa nelle condizioni di comportarsi come un soggetto portatore di un valore originario e autonomo, capace di sviluppare e rigenerare competenze anticipando le esigenze del cliente esterno e interno.
Il fattore umano (del quale in misura variabile le organizzazioni enfatizzano il ruolo di risorsa, capitale umano, contributo oppure mero costo), alla luce di quanto detto, emerge come componente chiave del sistema organizzativo, come punto di forza specifico di ogni impresa.
Già Drucker sosteneva che le risorse umane devono essere considerate un bene dell'impresa, e in effetti le persone costituiscono il maggior valore, la risorsa principale, ma anche la più costosa dell'organizzazione.
Oltre a costituire il primo costo di una organizzazione, soprattutto in quelle non altamente tecnologiche (quindi chi gestisce le risorse umane ha in mano il bilancio dell'azienda), le persone sono pure difficilmente influenzabili, ossia, nel caso di un progetto di cambiamento, sono le risorse più refrattarie alle trasformazioni. Ma se le risorse umane rappresentano una dimensione con un quoziente di costo e incertezza molto grande, sono dotate di altrettanta importanza.
Bisogna riconoscere, infatti, che fattori fondanti del successo delle organizzazioni sono l'energia creativa e la capacità di apprendimento e di autorganizzazione insita nelle persone. La creatività, in particolare, si può considerare come l'elemento fondamentale per la creazione del valore aggiunto. Essa presuppone l'innovazione, alla quale è fortemente correlata, attraverso la ricerca di combinazioni nuove connesse alle strategie innovative. In questo orizzonte si rafforza l’assunto delle persone come elemento strategico dei processi aziendali.
In accordo a questa posizione, le persone sono considerate, così, portatrici di un'autonoma progettualità, di una capacità di innovazione, di una capacità di sviluppare e gestire il proprio valore.
In questo modo, vengono mobilitati gli invisible assets (Itami), ossia quegli asset che non si materializzano in impianti, fabbricati e prodotti, ma sono intangibili, non compaiono in bilancio e tuttavia costituiscono il fondamento del potere competitivo dell’organizzazione. Il loro valore è difficilmente quantificabile ma, se opportunamente gestito, è suscettibile di un'espansione cumulativa.
Si tratta di quel capitale intellettuale (Edvinsson e Malone), patrimonio di valori, conoscenze e capacità, che si sono accumulati nel tempo e che costituiscono il bene intangibile dell’azienda e che è diventato un fattore critico per le imprese. Anche detto stock, è incorporato (embedded) sia nelle persone sia nei sistemi operativi dell'azienda e comprende: il capitale umano (le skill, le conoscenze, le competenze delle persone), il capitale sociale (le relazioni e le convenzioni che legano le persone), il capitale organizzativo (i processi, le routine dell'azienda, ossia le sue capabilities).
Perché l’impresa possa affermarsi in modo distintivo, deve fare tesoro della conoscenza individuale posseduta per sviluppare una propria capacità innovativa che dia spazio al cambiamento.
Il task della direzione risorse umane dovrebbe proprio concentrarsi nello sviluppo del valore degli invisible assets, caratterizzando, consolidando, diffondendo la cultura aziendale e, soprattutto, gestendone il cambiamento.


Anna Garofalo



1. Con il termine “risorse” si intendono i fattori fisici, tecnologici, finanziari e umani impiegati nell'impresa che hanno il potere di generare un vantaggio competitivo, a patto di venire combinate in un sistema.
2. Foulkes sottolineò che «una gestione efficace delle risorse umane non esiste nel vuoto, ma deve essere correlata alla strategia globale dell'impresa» e anche McGregor ritenne che i programmi per le risorse umane devono essere integrati con quelli dell'impresa.
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